Economia circolare – bioeconomia. Fico d’India per il restauro e la fabbricazione di malte per intonaci.

FicusIndica-2[1]Fin dal tempo preispanico, gli abitanti del Messico hanno sfruttato le qualità delle numerose specie della flora locale.

Alcune furono apprezzate per le proprietà medicinali, altre furono impiegate come alimenti e altre furono utilizzate per produrre oggetti artistici.

Tra le pratiche artistiche antiche si trova ad esempio l’uso della mucillagine dell’orchidea, chiamata tzautli in nahuatl (e tatzingui in purépecha), spesso utilizzata nell’elaborazione di figure di pasta di canna di mais o utilizzata come adesivo per decorazioni con piume.

Anche l’uso dell’olio di chía è documentato in opere pittoriche precolombiane, perché migliorava le qualità dell’asciugatura delle pitture e delle vernici.

Il fico d’India, chiamato nopal in messicano, è una cactacea del genere Opuntia, che include più di 300 specie, molte di queste distribuite in grande scala in Messico. Documentato fin dai tempi preistorici è il suo uso nelle opere pittoriche.

Magaloni ha identificato la gomma di fico d’India come agglutinante delle pitture murali di Cacaxtla, localizzate nell’attuale stato di Tlaxcala.

La gomma del fico d’India è un essudato naturale della pianta, prodotto in risposta a una lesione meccanica o patogena.

L’uso della gomma di Opuntia come legante sarebbe una caratteristica distintiva dei dipinti murali di Cacaxtla, infatti se compariamo la tecnica pittorica utilizzata a Teotihuacán, o quella utilizzata nell’area Maya-

Sempre dalle indagini di Magaloni è emerso inoltre che la malta per intonaci era realizzata impastando la calce con mucillagine di nopal.

La mucillagine è un prodotto del normale metabolismo delle cellule mucillaginose nel parenchima dei cladodi e di altre parti della pianta, che ha la funzione fisiologica di ritenzione idrica.

In genere l’aggiunta di derivati vegetali alle malte di calce, compreso il nopal, migliora la plasticità degli impasti oltre a trattenere l’umidità più a lungo, il che si traduce in un processo di presa più lento e una carbonatazione più uniforme.

I monosaccaridi della mucillagine promuovono l’aumento della solubilità dell’idrossido di calcio, il quale permette la cristallizzazione omogenea e compatta del carbonato di calcio.

La tradizione di aggiungere mucillagine di nopal ai colori a calce per dipingere le pareti negli edifici vernacolari potrebbe anche essere stata la fonte di ispirazione per il muralista del XX secolo, Diego Rivera. È documentato che Rivera sperimentò in alcuni dei suoi affreschi le mucillagini di nopal5, in particolare in quelli che dipinse al Ministero della Pubblica Istruzione e all’Università di Chapingo, entrambi del 19236.

La pratica tradizionale dell’uso della mucillagine del fico d’India come additivo alle malte è stata ed è tuttora impiegata dai restauratori messicani per migliorare le proprietà della malta in termini di plasticità, di tempo di indurimento, duttilità e la resistenza.

Inoltre si utilizza come impermeabilizzante, come rafforzamento nella produzione di mattoni e come fissatore di coperture pittoriche di pittura murale, date le sue proprietà adesive e coesive.

La  straordinaria ricchezza  del fico d’India in metaboliti attivi rende possibile lo sviluppo di nuovi bio-prodotti e l’avvio di nuove filiere produttive.

I cladodi di fico d’India, mentre rappresentano una risorsa alimentare in Messico e in altri Paesi, in Italia rappresentano uno scarto di potatura con costi di smaltimento per gli agricoltori (Bacchetta e Balducchi, 2019).

In impianti specializzati la potatura produttiva (scozzolatura) porta alla produzione di diverse tonnellate di pale (con un minimo di 6- 10 t/ha) che, alla luce di quanto discusso, possono essere il punto di partenza di nuovi cicli produttivi e redditi addizionali per i produttori. In Sicilia si dice da sempre che il fico d’India è “come il maiale, non si butta niente, che è un tesoro sotto le spine”

Fonte: Enea,  Magaloni , Bacchetta e Balducchi,

 

 

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